Scrivere per guarire: auto medicazione alla portata di tutti.

La scrittura come forma di cura.

Scrivere può rivelarsi un grande strumento di terapia.

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in questo libro. Un elogio a quella che potrei descrivere come un’automedicazione attraverso un’attività per cui non serve recarsi in farmacia a comprare gli strumenti necessari. Tutti a casa abbiamo carta e penna o, per chi preferisce, la tastiera di un pc o di uno smartphone.

Ebbene sì, stiamo parlando di scrittura. Non necessariamente una scrittura adatta a un pubblico, anzi il più delle volte è rivolta a un solo lettore: noi stessi.

E così, con un viaggio a ritroso nel tempo, prendendo spunto da un’indagine storica sulla nascita della scrittura, si riesce a comprenderne uno dei suoi molteplici usi. Quello del raccontare. Raccontare di sé, raccontare degli eventi. Prendere nota per non dimenticare, ma anche per imparare a discernere scelte sbagliate da quelle giuste.

Scrivere per guarire

La scrittura, in questa veste, prende le sembianze di uno specchio dell’anima, pronto a riflettere quello che non osiamo ammettere ad alta voce, quello che ci serve buttar fuori dalla nostra coscienza senza che nessuno ne sia testimone. Diamo così a noi stessi il potere di comprenderci, quasi sdoppiandoci dalla nostra mente offuscata dalle emozioni, e lasciando che attraverso la scrittura possiamo liberarci della colpa, dei dubbi. Possiamo urlare con la scrittura, piangere, gioire. Possiamo esporci senza il rischio di mostrare il fianco. La scrittura diventa così una cura!

Ed è proprio questa una delle parole chiave su cui l’autrice, Alessandra Perotti, punta per spiegare come possiamo auto medicarci attraverso l’uso delle parole scritte.

“Il prendersi cura di sé attraverso la scrittura implica assumere la buona abitudine di salvare la memoria di se stessi, di ripercorrere il proprio vissuto in modalità narrativa, accettando quello che il racconto restituisce.”

E queste parole non gettano solo un suggerimento a lasciare che noi stessi prendiamo coscienza di quello che ci è successo, delle emozioni che hanno spinto le nostre azioni, delle risposte sensoriali che si sono innescate dalle scelte prese, ma anche, se non soprattutto, a permetterci di prestare attenzione all’atto stesso dello scrivere di quello che ci accade, di quello che sentiamo.

La filosofia, come la psicologia e l’antropologia hanno studiato l’argomento:

[…]al di là delle diverse posizioni, teorie o interpretazioni, il fatto di mantenere chiusa, segreta, non divulgabile, la nostra storia appesantisce l’anima e, di conseguenza, anche il corpo. Le malattie psicosomatiche la dicono lunga. Sappiamo bene quanto la mente possa influenzare il corpo fino a farlo ammalare e quanto, invece, sia salvifica nel riportarlo a uno stato di equilibrio”

Ed è proprio su questo principio di pensiero che lo psicologo Pennebaker fondò il suo esperimento, con l’aiuto della psicologa clinica Janice Kiecolt-Glaser e suo marito, un immonologo. Il loro esperimento dimostrò che attraverso la scrittura volta a penetrare nel più profondo inconscio, a metter per iscritto le emozioni più intime e nascoste, a “lavorare su se stessi” si aiuta l’organismo a fortificare il proprio sistema immunitario. Cosa che invece non era avvenuta sui soggetti a cui era stato richiesto solo di scrivere banalità a caso, superficiali.

Ma per curarsi attraverso la scrittura occorre essere coraggiosi. Non serve altra dote: né saper scrivere fluentemente, né essere scevro da qualsiasi dubbio grammaticale. Il nostro esame non dovrà essere giudicato nella forma e solo il contenuto avrà importanza. Il coraggio invece, risiede nella forza di volontà di mettersi a nudo, davanti a una pagina che ci offre ascolto, silenziosa ma presente. Occorre volersi mettere in discussione, aprire il nostro animo e non solo sbirciare al suo interno, ma anche entrarci, osservare, guardare, e tirar fuori tutto.

Cose di cui siamo fieri, ma anche cose di cui ci vergogniamo. E più vogliamo nasconderle a noi stessi, più quello di scriverle sarà un atto di coraggio. Più coraggio mettiamo nel lasciarci andare a noi stessi, più potremo aiutarci a curare delle ferite che fanno sanguinare la nostra anima.

La scrittura viene poi ad avere un altro grande potere: quello della meditazione. Scrivere ci tranquillizza, anche se iniziamo a farlo in un momento in cui i nostri sensi e la mente viaggiano su binari veloci e senza (apparente) meta. Scrivere vuol dire rallentare, camminare a piedi senza curarsi della distanza che ci separa dall’arrivo, ma concentrarsi su ogni passo, su ogni emozione che proviamo, per darci il tempo di scriverla, di imprimerla sulla carta. Ci accorgiamo piano piano di aver cambiato la respirazione, di aver rallentato i battiti, di esser più padroni di noi stessi, o quanto meno del nostro oblio.

Scrivere per meditare

Anche per questo sarebbe buona abitudine scrivere a mano, ponendo su carta non solo le parole ma anche il tratto che la mano imprime sul foglio e dalla quale non solo si è in grado di dimostrare visivamente ciò che l’emozione del momento ci porta a vivere, ma anche di vedere con i propri occhi le parole che la nostra mente ha comandato alla mano di scrivere. Un tratto più incisivo, una calligrafia nervosa, o leggera e chiara. Ogni elemento di quella pagina sarà una confessione della nostra anima. Un testimone di un momento di abbandono tra le nostre stesse braccia.

Come spalmarsi un unguento su una ferita, vedere le nostre dita massaggiare la pelle lì dove ne abbiamo più bisogno. Dapprima con un accenno di dolore, poi con il sollievo di una cura che sta funzionando.

Abbiamo fin qui parlato di una scrittura personale e quindi segreta. Una confessione fatta a noi stessi, attraverso l’intermediario della parola scritta. Ma molti preferiscono dar luce ai propri pensieri, magari nella speranza di trovare sollievo nell’altrui consiglio. Molti psicologi utilizzano questo strumento per lasciare che i propri pazienti trovino il modo migliore per liberarsi dei più reconditi problemi.

Altre volte invece si ha la necessità o la voglia  di pubblicare i propri scritti, per condividere, per abbracciare non solo se stessi ma anche coloro che possano trovare in quelle parole un senso comune, una boa di salvataggio per riprendere aria, per cogliere spunti di riflessione. O magari, perché no, per decidere di iniziare a curarsi a loro volta, attraverso la scrittura.

Personalmente non avevo certo bisogno di capire quanto la scrittura sia curativa. Un quesito che avevo già risolto da piccola, quando mi sfogavo sui miei poveri diari segreti. Abitudine che non ho mai abbandonato e che nel tempo si è dimostrata essere la mia forma migliore di espressione.

Eppure grazie a questo libro ho capito quanto ci possa essere dentro quella parola: “cura”, e quanto in effetti possa aiutare altre persone a prender in considerazione l’idea di raccontarsi, magari anche solo con poche parole incise su un post-it che abbiano la forza di sputar fuori il groppo che abbiamo in gola, o alleggerire il peso che sentiamo premerci sul petto.

Scriviamo di emozioni, di sensazioni, umori. Prendiamo nota di quando siamo felici e perché, di quando siamo tristi e perché.

Siamo coraggiosi e tendiamoci una mano, permettiamo di aiutarci essendo sinceri fino in fondo, almeno con noi stessi.

Per chi volesse approfondire il tema trattato da Alessandra Perotti, ecco il link per acquistare il suo libro su Amazon

Scrivere per guarire
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